Vegetarianesimo, smettere di consumare carne salverebbe il mondo?

Dietro la scelta vegetariana, tra un piatto di quinoa e discrepanze economiche

C’è chi dice stop alla carne perché sensibile ai maltrattamenti animali, chi per non impattare sull’ambiente, chi dà l’addio alle bistecche per proteggere la propria salute. Le ragioni per convertirsi al vegetarianesimo sono differenti eppure, secondo un’attenta analisi di BBC Future, nessuna di queste contribuisce ad appiattire le discrepanze tra paesi ricchi e poveri. Cosa accadrebbe se il mondo diventasse improvvisamente vegetariano? «Nei paesi industrializzati – spiega Andrew Jarvis del Centro Internazionale dell’Agricoltura Tropicale della Colombia – il vegetarianesimo porterebbe ogni sorta di beneficio, sia sull’ambiente che sulla salute. Ma nei paesi in via di sviluppo ci sarebbero effetti negativi in termini di povertà».

Coltivatrice boliviana di quinoa

La produzione di cibo è responsabile di un terzo, al massimo un quarto, dei gas serra emessi nell’ambiente dall’uomo. Ed è vero che l’industria del bestiame, con le sue massicce emissioni di metano, è un’importante protagonista di queste percentuali – in America, ad esempio, una famiglia di 4 persone produce più CO2 mangiando carne che utilizzando quotidianamente due automobili. È bene sapere, tuttavia, che un piatto di quinoa – che il vegetarianesimo sostituisce spesso alla carne – non è così etico come appare. In Bolivia, la “febbre da quinoa” ha infatti alterato ogni equilibrio naturale e sociale. Se tradizionalmente il cereale veniva coltivato sui pendii delle montagne, per lasciare spazio ad alpaca e lama, ora le piantagioni invadono il territorio fertile e pianeggiante da sempre dedicato a questi camelidi. Oramai decimati. Terreni sovra-stimolati, mafie locali in lotta per aggiudicarsi gli appezzamenti terrieri: tutto è lecito per sfruttare il business occidentale. Anche stravolgere la dieta millenaria di un popolo che ha compreso quanto sia redditizio venderla, la quinoa, piuttosto che consumarla per sfamarsi.

Senza la diffusione capillare di programmi educativi dedicati all’autosostenibilità, le economie e le culture dei paesi in via di sviluppo rischiano di perire, per soddisfare i diktat vegetariani e vegani.

Insieme a un team di colleghi Marco Springmann, ricercatore alla Oxford University, ha dato vita ad un modello computerizzato in grado di simulare lo scenario di un mondo interamente vegetariano e vegano. I risultati indicano che se entro il 2050 la popolazione della Terra cessasse di mangiare carne, le emissioni dovute alla produzione di cibo calerebbero del 60% (70% se fossimo tutti vegani). E i terreni dedicati all’allevamento sarebbero rinfoltiti da alberi. Tuttavia, questo utopico scenario non tiene conto di un dato di fatto: trasformare i campi in terre coltivabili ha costi ingenti. E ricollocare il personale del settore zootecnico potrebbe costare anche di più, tra formazione, misure per contrastare la disoccupazione ed incentivi per favorire le assunzioni. Un prezzo che non tutti i paesi in via di sviluppo potrebbero permettersi di pagare.

Quanto può impattare realmente il vegetarianesimo – in termini di emissioni nocive e non solo – se il proprio frutto preferito proviene, ad esempio, dal Nordamerica? (Image: The Royal Society)

Un regime alimentare moderato, con un’attenzione all’etica delle carni, è una delle chiavi per combattere le disuguaglianze mondiali.

Secondo quanto divulgato dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, è sufficiente mangiare carne una o due volte a settimana per un regime alimentare bilanciato, non eccessivamente impattante su ambiente ed equilibri economici. Frutta e verdura non devono mancare sulla tavola, possibilmente a Chilometro Zero, così da favorire l’accrescimento delle microeconomie locali. Fa eco l’AIRC, L’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, secondo cui per diminuire l’incidenza dei tumori attraverso l’alimentazione non è necessario eliminare del tutto i cibi di origine animale – come latte e uova, ma anche carne. Ma come scegliere allevamenti etici, cruelty-free?

La  risposta a questa domanda proviene dall’associazione Allevamento Etico che, insieme a Slow Food, ha stilato un vero e proprio manifesto a cui gli allevamenti sono tenuti a riferirsi. Animali liberi dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione, dai disagi ambientali. Dal dolore, dalle ferite, dalle malattie, dalla paura e dal disagio. Liberi di poter manifestare il proprio comportamento di specie: concepimento in libertà, allattamento dei vitelli, svezzamento naturale, alimentazione in età adulta di prato, pascolo e foraggio biologico di alta qualità.

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