I’m YAPpy. L’intervista a Stefano Varlese

Pagando a caro prezzo un viaggio di volontariato, o presunto tale, si finanzia un business e non un progetto dalla reale utilità no profit. È chiaro e conciso il parere di Stefano Varlese, direttore del comitato esecutivo YAP – Youth Action for Peace Italia, sulle organizzazioni che propongono esperienze di lavoro non retribuito in cambio di un po’ troppo cospicue fee, tasse – le quali possono raggiungere le migliaia di euro. Sono quei gruppi che organizzano progetti di volontariato esclusivamente all’estero, nei paesi in via di sviluppo, sfruttando il senso di colpa dell’uomo dell’Occidente.

Che differenza c’è tra un workcamp e un viaggio di volonturismo?

I workcamp sono dei progetti di volontariato costituiti da diverse componenti, tra cui quella turistica, che però non riveste un ruolo primario. Si visitano posti nuovi e si entra in contatto con le realtà locali, ma lo scopo numero uno rimane quello di contribuire, in qualità di volontari e non di turisti, ad un progetto di pubblica utilità. Ad organizzarli, reti di associazioni ed enti locali no profit che operano senza scopo di lucro. Nel senso classico del termine, i viaggi di volonturismo sono invece viaggi turistici, concepiti da agenzie specializzate, che possono avere una piccola componente sociale – ma che hanno in primis interessi a livello monetario. Un esempio? Un viaggio di volonturismo in Cambogia, dove si visita il luogo sotto la guida del tour operator e, per un paio di giorni, si presta volontariamente aiuto in un villaggio rurale. Queste due realtà hanno alcuni punti in comune, ma anche tante differenze.

Ambiente, animali, diritti umani. Quale causa ha più bisogno di aiuto?

Sono tutte cause prioritarie e la differenza viene fatta dalla motivazione, dalla preparazione, dei volontari. Ogni volontario porta con sé un bagaglio di aspettative, competenze e motivazioni personali. Aderire ad un progetto con persone disabili, piuttosto che con i bambini, animali abbandonati o tutela ambientale, è semplicemente una scelta. La cultura italiana assimila il volontariato al fattore assistenziale: aiutare i minori in difficoltà, portare da mangiare ai senzatetto, assistere i poveri. Questo è certamente un aspetto importante, ma non è l’unico degno di attenzione, e nessuna forma di volontariato è “più degna” di un’altra. Bisogna prima di tutto indagare sulle ragioni che portano a diventare “volontari”. Lo si fa per rendersi utili o per farsi notare? Nel primo caso, è possibile trovare una soluzione “su misura” per la persona. Nel secondo caso, è inutile partire.

Cosa si intende per soluzione “su misura”?

Esistono diversi tipi di progetti di volontariato, con obiettivi mirati, a breve e lungo termine. Ciascuno di noi ha determinate possibilità, in termini di tempo, per potersi dedicare a quest’esperienza. Non tutti possono assentarsi per mesi interi. Come già specificato, ogni persona ha specifiche inclinazioni. La scelta di un progetto di volontariato piuttosto che un altro dipende da questi fattori. Un esempio classico, è il ragazzo che chiama all’improvviso, dicendo che il mattino seguente vorrebbe partire per l’Africa, aiutare i bambini e salvare il mondo. Non funziona così. Serve una preparazione specifica, vengono coinvolti minori e non giocattoli. Naturalmente, un progetto simile non potrebbe essere affidato a chi parte per pochi giorni, instaurare relazioni umane richiede tempo. La soluzione “su misura” è quella che concerne gli interessi del volontario con le necessità delle comunità locali.

Ti è piaciuto questo pezzo? Condividilo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *