A capo del movimento Fridays for Future, la giovane svedese accende i riflettori sui cambiamenti climatici
Una ragazza con il sogno di un mondo più verde. Lei si chiama Greta Thunberg, è nata in Svezia, ha 16 anni, la sindrome di Asperger e nell’agosto del 2018 ha deciso di dire basta all’inerzia del suo governo di fronte ai cambiamenti climatici. Lo ha fatto lanciando l’iniziativa di protesta Fridays for Future, letteralmente venerdì dedicati al futuro, che in pochi mesi hanno contagiato i paesi di tutto il mondo. Così venerdì 15 marzo anche l’Italia ha assistito ad un vero e proprio flashback sessantottino: cartelloni in mano, gli studenti scioperanti di tutti i capoluoghi si sono uniti per accendere i riflettori sulle cause ambientaliste.
Secondo gli ultimi aggiornamenti, sono state più di 1,4 milioni i giovani e meno giovani ad avere partecipato all’iniziativa #SchoolStrike4Climate. Per un totale di 2083 piazze occupate in 125 paesi del mondo.
Quella di Greta è una forma di protesta innovativa che, dai suoi account Instagram e Twitter, ha raggiunto le piazze di ogni angolo del globo. Dal virtuale al reale, il primo post a tema risale al venerdì 20 agosto dello scorso anno. La ragazza con le trecce siede davanti al Parlamento (Riksdag) di Stoccolma, sola, accanto ad un cartello che reca la scritta Skolstrejk för klimatet, sciopero della scuola per il clima. Dovrebbe essere in classe a studiare, ma non le importa. «Noi bambini di solito non facciamo quello che ci dite di fare, facciamo ciò che voi stessi fate. E visto che a voi adulti non frega un cazzo del mio futuro, non vedo perché dovrebbe importare a me. Sono pronta a protestare per il clima fino al giorno delle elezioni». In effetti, Greta è rimasta lì fino alle elezioni amministrative del 9 settembre, aggiornando con costanza i suoi profili social. Dopo una settimana, altre persone le si siedono accanto. Il suo viso si intravede prima nelle televisioni locali poi nazionali fino a quando, il primo giorno di settembre, fa capolino nell’edizione on-line del The Guardian. Da allora e la strada è in discesa e al termine dello scorso anno la conduce alla Cop 24 di Katowice, in Polonia. Alla conferenza sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite, Greta è decisa: «Finché non vi fermerete a focalizzare cosa deve essere fatto anziché su cosa sia politicamente meglio fare, non c’è alcuna speranza. Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come tale. Noi dobbiamo lasciare i combustibili fossili sotto terra e dobbiamo focalizzarci sull’uguaglianza, e se le soluzioni sono impossibili da trovare in questo sistema significa che dobbiamo cambiarlo».
Fino a poco tempo fa si pensava al riscaldamento globale come al semplice aumento delle temperature e al conseguente scioglimento dei ghiacci. In realtà, le conseguenze sono molto più complesse. A causare il surriscaldamento della Terra sono state le attività umane – in particolare la combustione di carbone, gas e petrolio – che intensificheranno fenomeni quali alluvioni, siccità ed altri eventi estremi. Con la conseguente migrazione delle popolazioni più povere, incapaci di sostenere simili ripercussioni nei loro già fragili sistemi economici. Secondo Focus, da qui al 2100 le popolazioni richiedenti asilo arriveranno a triplicarsi, includendo la categoria dei cosiddetti poveri del clima, i migranti climatici. Ecco perché secondo Greta, ora candidata al premio Nobel, «Non c’è più tempo».